I luoghi che parlano
Su ogiù. Sopra, sotto. Chi comanda e chi obbedisce.
Come dalla bocca di un cammello la vita ti sputa a nascere schiavo o potente, ricco o povero, bianco o nero. E ti è già dato un vestito, una lingua, una preghiera. Una redine da frustare o un carico da trainare.
Così, in un luogo, la tua vita cade in terra. E il tuo cammello s’incammina.
Lento ed elegante si addentra nei deserti.
Ma la tua mano, come avesse un rocchetto, impara a lanciarlo lontano e a ritrarlo a sé: “Fort! Da!”; “Fort und Da!”. Tanto lontano osa talvolta il tuo cammello che ameno si fa ogni orizzonte. Ti senti perso in un deserto quando il rocchetto srotolato sparisce sotto il letto.
Sei solo finito in un luogo diverso.
Lesto ritiri il rocchetto a te, a verificare che nulla si è perso di te in quell’orma messa nel mondo dell’Altro-da-me.
Di comandar quel filo ti compiaci, così governi il tuo cammello. Ti rassicura continuare a lanciare e ritirare il tuo rocchetto, galoppare o arrestare il tuo cammello. Ogni volta convinto di dominare l’assenza di un tuo potere assoluto sul tuo esistere e sparire, vagare e divagare. Come una coazione a lanciarti nel mondo. A ripetere quel lancio nel mondo che ti diede la vita. E di cui ora vuoi diventare artefice cullandoti nel desiderio di poter scendere dal cammello, un giorno, e dire che se fosti, fosti tu a voler essere “quel” fui.
A incontrar “quel” luogo che ti fece e ti fu. Che ti parlò, intessendo il tuo filo con i fili di altre parti di te.
I luoghi che parlano sono tutti gli Altri più di-Versi da me,
che parlano a me di me, che rimano con me.
Come bambini che giocano, nei luoghi che parlano, gli uomini creano.
Se cerco me nell’Altro, trovo l’Altro in me. Solo così i luoghi parlano.
E laddove ti sembra di vedere che un Uomo comandi e l’Altro sia servo, nei luoghi che parlano, guarda bene e aspetta.
Comparirà un bambino che aiuta un altro bambino a salire in groppa, chiedendo al suo cammello di incoraggiare l’Altro-Sé
Con un bacio.