Serena Terigi – Università degli Studi di Padova

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L’Eco del Perturbante

Oh quante volte avrebbe voluto affrontarlo con dolci parole
e rivolgergli tenere preghiere! Natura lo vieta,
non le permette di tentare; ma, e questo le è permesso, sta pronta
ad afferrare i suoni, per rimandargli le sue stesse parole.
Per caso il fanciullo, separatosi dai suoi fedeli compagni,
aveva urlato: «C’è qualcuno?» ed Eco: «Qualcuno» risponde.
Stupito, lui cerca con gli occhi in tutti i luoghi,
grida a gran voce: «Vieni!»; e lei chiama chi l’ha chiamata.
Intorno si guarda, ma non mostrandosi nessuno: «Perché», chiede,
«mi sfuggi?», e quante parole dice altrettante ne ottiene in risposta.
Insiste e, ingannato dal rimbalzare della voce:
«Qui riuniamoci!» esclama, ed Eco che a nessun invito
mai risponderebbe più volentieri: «Uniamoci!» ripete.
E decisa a far quel che dice, uscendo dal bosco, gli viene inconti’o
per gettargli, come sogna, le braccia al collo.
Luifugge e fuggendo: «Togli queste mani, non abbracciarmi!»
grida. «Possa piuttosto morire che darmi a te!».
E lei nient’altì-o risponde che: «Darmi a te!».
Respinta, si nasconde Eco nei boschi, coprendosi di foglie
per la vergogna il volto, e da allora vive in antri sperduti.
Ma l’amore è confìtto in lei e cresce col dolore del rifiuto:
un tormento incessante le estenua sino alla pietà il corpo,
la magrezza le raggrinza la pelle e tutti gli umori del corpo
si dissolvono nell’aria. Non restano che voce e ossa:
la voce esiste ancora; le ossa, dicono, si mutarono in pietre.
(Ovidio, Le Metamorfosi)
Che cosa ha attratto Narciso nell’udire Eco e cosa poi è stata fonte di repulsione e rifiuto?
Le sue stesse parole che tornano, forse il suo stesso pensiero, quelle stesse che poi si incarnano in
un volto di donna, un se stesso con altre sembianze, un conosciuto sconosciuto.
Ritornano alla mente le parole di Otto Rank per il quale “il sosia è e insieme non è un altro me, ma
in un modo particolare. L’Io lo riconosce con apparenze identiche a sé, così come appare allo
specchio” (Petrella, 1981), ma viene allo stesso tempo incontro all’Io come un estraneo. E allora
forse Eco rappresenta l’oggetto incestuoso, la voce della madre che marchia il castigo sofferto da
entrambi, come osserva Carraro (2013). O forse Eco rappresenta un Altro me stesso, una traccia
arcaica, un’orma primigenia lasciata sulla calce viva, non ancora solidificata.
Qualcosa che ritorna e nel venirmi incontro mi ammalia e mi inquieta, come lo specchio d’acqua
nel quale mi riconosco e che mi affoga ritornando a quello stadio di mancata differenza.
Per Lacan “la funzione dello specchio è, infatti, quella di produrre uno sdoppiamento nel soggetto
per cui il soggetto può aggettivarsi nell ‘immagine speculare, nell ‘altro da sé, al fine di potersi
riconoscere in un’alterila che lo identifica,  in un’esteriorità che lo riflette” (Di Giaccia &
Recalcati, 2000). La frammentazione del soggetto viene suturata dall’immagine del proprio corpo
che lo  esalta segnando il passaggio  dall’onnipotenza dell’Altro  e dalla propria impotenza,
all’illusione dell’individuazione; illusione giacché è fondata su uno sdoppiamento. “L’immagine
che lo costituisce come io è già in se stessa l’immagine che lo separa da sé, che lo rappresenta in un altro da sé, che lo divide irrimediabilmente ” (Di Giaccia & Recalcati, 2000).
E se l’Altro che mi viene incontro mi riconduce lì ove Io sono diventato, allora è da fuggire, repellere, rifiutare; e se torna, continuamente ritorna, inaspettatamente ritorna, ecco che mi perturba. Provando con Garroni (1984) a parafrasare i motivi che per Freud provocano l’esperienza del perturbante, “è sempre lo stesso intreccio che constatiamo: un meccanismo, una necessità enigmatica, che si svolge fuori del mio controllo e che mi investe direttamente; così scuote la consistenza del mio io, rendendolo estraneo, incomprensibile, inafferrabile per me stesso: dunque, portandomi alla morte, alla dissoluzione appunto “.
Ricordo le parole di un paziente, nel tentativo di farmi comprendere quel che gli capitava dentro, quasi a sua insaputa, fuori dal suo controllo. Il tentativo balbettante di raccontarmi, inteso come raccontare me da dentro di lui, perché dentro mi sentiva come se mi sentisse da sempre, come se io fossi là prima ancora di incontrarci, qualcosa “di antico che conosco ma non so e che mi disturba “. E come non comprenderlo, anch’io intanto pensavo a lui, un’esperienza familiare e spaventosa, una sorta di sosia della mia anima e più riconoscevo i miei funzionamenti nei suoi e i suoi nei miei, più mi turbava. Un po’ tornare a casa e un po’ sapere che è abitata da un altro, uno spirito, una presenza, un’ombra.
Ancora Garroni (1984) sottolinea come l’effetto perturbante sia la conseguenza di un sospetto che viaggia di pari passo all’esperienza abituale, senza interromperla, bensì colorandola di una nuova atmosfera, misteriosa, ostile, straniera. Una danza tra la luce e l’ombra, uno scambio, che muta ciò che dovrebbe essere in luce in ombra e ciò che dovrebbe essere in ombra in luce. Bollas (2001) ci parla del perturbante nell’esperienza estetica, in quelle situazioni in cui una persona che si trova in un profondo rapporto soggettivo con un oggetto estetico (un quadro, un paesaggio, una sinfonia, ecc.) sperimenta l’assoluta certezza di essere cresciuto con l’essenza stessa di quell’oggetto. Tali momenti evocano nell’individuo una perturbante sensazione psicosomatica di fusione con l’oggetto, come “un incontro di muto riconoscimento che sfida qualsiasi rappresentazione” (Bollas, 2001) e che rimanda al senso di qualcosa di familiare e nello stesso tempo sconosciuto. L’oggetto estetico è per Bollas (2001) un oggetto evocativo di uno stato dell’Io caratteristico della vita psichica precoce, quando la madre veniva vissuta dal bambino come un processo trasformativo e identificata con le metamorfosi del proprio essere. La madre era l’oggetto che originariamente trasformava il mondo interno ed estemo del bambino e che, con il suo particolare idioma di cure, gli trasmetteva un’estetica  dell’essere che sarebbe poi diventata una caratteristica del Sé del bambino. Questo primo oggetto trasformativo, “conosciuto” attraverso una conoscenza esistenziale e pre-rappresentativa, sarà poi ricercato dall’adulto come un oggetto che promette di trasformare il Sé. L’esperienza estetica ricercata darà forma alle esperienze primitive dell’Io e si caratterizzerà proprio per la sua qualità perturbante, poiché farà sperimentare all’individuo la sensazione di ricordare qualcosa che non è stato appreso con la conoscenza: “Come una forma di déjà vu, essa è un ricordo esistenziale, un ricordo non rappresentativo trasmesso dal senso del perturbante” (Bollas, 2001).
L’oggetto, come dice Bollas (2001), diventa la mano del fato, che improvvisamente cattura l’individuo in un abbraccio che richiama un’esperienza esistenziale e pre-verbale, in cui l’essere-con era l’essenza della vita stessa.
La ricerca di quest’oggetto è dunque “una ricerca mnemonica infinita di qualcosa nel futuro che risiede nel passato” (Bollas, 2001), qualcosa che colora il presente con tonalità perturbanti ogni qualvolta l’eco di quell’abbraccio pre-verbale risuona in noi attraverso un particolare Altro, oggetto estetico o sosia sconosciuto, me stesso estraneo capace di incantare ed atterrire. Così un paesaggio familiare e noto, come una casa e un albero, può diventare improvvisamente ambiguo e oscuro se illuminato da un riflesso che rivela la sua duplice natura. L’esperienza è perturbante poiché in essa risuona affettivamente un passato che non ha ricordi, un’epoca antica che abbiamo conosciuto senza poterla pensare e che in alcuni particolari momenti ritorna e si rivela a noi nella sua familiare estraneità, lasciandoci assorti e tremanti in un’atmosfera misteriosa, in cui il gioco di luci pone improvvisamente nell’ombra la propria casa.

Bibliografia
Bollas C. (1987), L’ombra dell’oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato. Boria, Roma,
2001
Freud S. (1919), II perturbante. In: “Opere. Volume 2”, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma, 2006
Petrella, F. (1981), II sosia perturbante: note Sul “Doppio” di Otto Rank. Rivista PsicoanaL, 27:72-
82. pep-web.org
Carrara, A. Das Unheimliche. http://www.grupporacker.org/contributi/Carraro.pdf. Febbraio 2013
Di Giaccia, A., Recalcati, M. (2000), Jacques Lacan. Bruno Mondadori, Milano
Garroni, S. (1984), Sul Perturbante. Edizioni Kappa, Roma, 1984

Ovidio P. Nasone (a cura di Bernardini Marzolla P.), Le Metamorfosi, Einaudi, Torino 2005

 


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