Maltrattamento e abuso

La REDAZIONE PSICOANALITICA questa settimana affronta il tema del maltrattamento sulla donna attraverso i contributi degli studenti in psicologia tirocinanti del Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala.Attraverso un lavoro di gruppo abbiamo tentato di realizzare un’analisi di talune forme di maltrattamento che si esprimono, molto spesso, attraverso messaggi subliminali, il cui significato profondo è volutamente mascherato tanto da non poter essere riconosciuto.L’ utilizzo di un linguaggio, intessuto spesso da ambiguità,  nasconde   attacchi verso la donna persistenti nel tempo tanto da diventare culturalmente diffusi e accettati acriticamente. Spesso questa ambiguità induce il fruitore a facili collusioni proprio con ciò che intende combattere.Il contributo dell’ottica psicoanalitica permette di recuperare una criticità e una problematicità che restituisce il nome alle cose.

La rete dell’odio

Immaginiamo il mondo del web come un’incommensurabile ragnatela che collega gli uffici, le università e le camere di ogni parte del mondo, questo pensiero non vi fa sentire improvvisamente piccoli piccoli? La ragnatela sembra rassicurarci, sostenerci,

collegare i nostri cuori e le nostre menti; ci fa sentire a casa, ma sarà vero? Come saprete è proprio tra questi fili intrecciati ad arte che si nascondono gli Haters, untori di disprezzo, “odiatori” che attraverso l’utilizzo dei social, contribuiscono alla tessitura di una vera e propria rete di odio. Non si servono di armi, non usano violenza fisica, ma sfruttano il peso delle parole, taglienti come lame, rivolte a categorie di persone, in genere minoranze, o a personaggi pubblici appartenenti al mondo dello spettacolo, politico ecc.

Tra le vittime preferite dagli Haters, le ricerche a cura di Amnesty International e Vox evidenziano che un posto speciale è occupato dalle donne, seconde soltanto ai migranti che si trovano in pole position. Come intorno ad un tavolino in un caffè, è

dietro uno schermo che questi soldatini si riuniscono all’interno di un gruppo Fb, scambiandosi commenti indiscutibilmente misogini. Il piatto forte è il corpo femminile, servito con immagini in pose allusive e volgari. Come contorno, commenti insaporiti da immancabili offese quali “troia”, “puttana”, “cagna”, “frigida” ecc. a discrezione dei fantasiosi odiatori che se ne cibano ingordi.
A questo punto, se ci trovassimo in un tribunale probabilmente sarebbe facile definire il ruolo della vittima e quello del carnefice, ma questo non basterebbe a risolvere il male di un’intera società che ricordiamo essere formata sia da uomini che da donne. È bene tenere a mente sempre che non è mai un singolo elemento a generare un fenomeno e che non è così semplice intercettare una causa poiché essa è in sé stessa molteplice. Chiediamoci, dunque, se è l’uomo a rendere la donna oggetto o se è

quest’ultima ad auto-oggettivarsi.
Nonostante i grandi passi nella storia; assistiamo, ancora oggi, a squallidi spettacoli

di mercificazione della figura femminile, dalle veline in ambito televisivo alle influencer di Instagram.

Ma poniamoci un’ulteriore domanda: Perché la donna sente l’esigenza di mettere in mostra il proprio corpo rendendo pubblici i propri scatti pur di ricevere l’approvazione di terzi? Dunque, è vero che molte donne vendono la propria immagine, mostrandosi sulla rete social come un oggetto in saldo su ebay che ad un prezzo ragionevole viene anche spedito a casa. Ma al contempo, in una società nella quale le donne vanno sulla luna, ci si può ancora scandalizzare per delle belle gambe nude sulla terra? Si può ancora provare talmente tanto odio da dire che è la minigonna la causa dello stupro e non il male nella mente dell’uomo?
Credo allora che non si possa additare un colpevole perché in qualche modo lo si è tutti. Lo è la donna che mostra il suo corpo come mercanzia da vendere al miglior offerente, lo è l’uomo che la disprezza pur avendo provato piacere nel guardarla, lo è

la donna stessa che osservando un’altra donna prova invidia e per questo la denigra. Il crimine sta nel giudizio falso, incoerente e non richiesto.

Il ragno è l’ipocrisia che ci attira come mosche e ci strozza tra i fili della sua ragnatela.

Giorgia Russo

‘Si segue il clown nel circo entrando in una prospettiva di ribellione contro l’ordine del mondo diurno; una ribellione senza causa e senza violenza.’
(J.Hillman, Il sogno e il mondo infero, p.223)

É il 19 Ottobre 2019, il popolo cileno scende in piazza contro il governo e il carovita imposto dallo stesso. Tra di loro c’è una ragazza, una clown di strada, la mimo Daniela Carrasco. Il giorno dopo, il 20 ottobre 2019, viene trovata sola, morta impiccata ad un recinto di un parco nel comune di Pedro Aguirre Cerda, nella città metropolitana di Santiago del Cile. Apparentemente il fatto sembra agli occhi delle autorità un suicidio. Da lì a poco, però, il collettivo cileno Ni Una Menos (Non una di meno) denuncia un avvenimento ben più grave. Sembra che la donna cilena sia stata fermata dai militari, torturata fino alla morte e impiccata come monito per la rivolta dei cittadini contro il governo cileno. L’autopsia della donna sembra dire che non ci siano stati interventi di terzi e la morte sia avvenuta per soffocamento da impiccagione, ma è ancora tutto da verificare. Le autorità “competenti” stanno ora indagando sull’accaduto, ma nel frattempo l’ombra del dubbio ha già conquistato l’immaginario collettivo. El mimo, Daniela Carrasco, una giovane ragazza che ha deciso di vivere per l’arte: disciplina nobile e pura. Proviamo a chiudere gli occhi e immaginare per un momento che un’amica, una sorella, decida di girare il mondo vivendo come artista di strada, e all’improvviso dai media apprendi la notizia della sua morte. La prima reazione: negazione, la seconda: pianto, rabbia disperazione. Le stesse emozioni che probabilmente ha provato Daniela nel momento stesso in cui il suo cuore ha smesso di battere, sia che la sua morte sia avvenuta per omicidio o per suicidio. Una Donna che vive per l’arte del mimo ovvero la capacità di comunicare emozioni e sentimenti attraverso gesti e atteggiamenti corporei.

Se la sua morte fosse proprio legata alla sua professione? Se il gesto del suicidio, in un’era, in cui i clown si fanno spazio nell’inconscio collettivo, in realtà, fosse proprio il grido disperato di Daniela. Il volerci trasmettere la paura vissuta giornalmente all’interno di questo mondo claustrofobico, che ci rende impotenti dinanzi al mutamento continuo di una società succube. Difatti sia il soffocamento che la rottura del collo, sono immagini che ricalcano perfettamente ciò che sta accadendo in Cile e nel mondo. Il carovita soffoca i cittadini, soprattutto i più poveri e fa rischiare “l’osso del collo” e tutte quelle persone che vivono sul ciglio della povertà.

E se fosse stato un caso di omicidio, in un paese in cui abusare delle donne, sembra essere un trofeo di supremazia? Una inconcepibile situazione di stallo alla quale è tristemente approdata la condizione femminile. Daniela, non è di certo stata la prima vittima dell’inconcepibile bestialità, che fa parte di una società ormai giunta allo sfacelo, e purtroppo nulla lascia presagire che la smisurata quantità di crudeltà si esaurisca con la sua violenta morte. Qui El mimo ci sta lasciando un messaggio forte e chiaro: morire per i propri diritti, il diritto di essere una donna libera. La violenza utilizzata dalle forze dell’ordine del Cile per incutere timore e sottomissione non l’han piegata. El mimo si è tramutata in un simbolo: una metafora degli abusi e delle violenze sui diritti dei cittadini e delle donne. Il simbolo è uno strumento utilizzato dall’uomo come quel punto di origine, dietro la quale si nascondono determinati significati volti a influenzare il pensiero umano. Penetra nell’inconscio a tal punto da forgiare il nostro modo di essere in merito a determinate situazioni. Ed è così che il movimento femminista Ni una menos, nel raccontare la morte di el mimo, sbandiera il loro simbolo, denunciando al mondo intero le violenze che queste donne subiscono giornalmente a causa della situazione conflittuale del Cile. Situazione purtroppo presente in molti paesi del mondo, che sembra non voler cessare il suo operato. Il caso di Daniela dovrebbe smuovere le coscienze per risvegliare questo mondo, che sembra trasformare la violenza in atto dovuto nei confronti delle donne, degli uomini e di chi viene continuamente discriminato. Dovremmo comprendere e accettare la libertà altrui, cercando di confluire verso una società più aperta: continuando così, si rischia sempre più, di ricadere negli stessi errori del passato. Nonostante siano trascorsi circa settantacinque anni e le bocche non possono più raccontare, parlano e quel che dicono dovrebbe continuare a vivere dentro di noi come monito di quel che è stato e un auspicio per un futuro diverso.

Concludo questo articolo con una poesia scritta dal poeta sardo Roberto Argiolas di Oniferi, rimasto colpito dalla storia di Daniela Carrasco, decide di dedicarle queste rime :

El Mimo

Adiu ojos de fada, adiu El Mimo!

Sutta sas tintas de unu buffone

m’ispiras de tristesa una cantóne.

Deo non ti connosco ma t’istimo,

Mi cumandas sa manu, sa chi timo

e de la timer nde tenzo rejone

Ca m’as donadu s’ispirassione,

Ma ses morta. E su chelu frastimo,

Bandera de unu Cile sufferente,

Contro tirannos simbulu festante,

Figura immortale e innossente.

Adiu ojos de Zàffiru lughente,

Ojos de cristallinu diamante,

Ojos de luna e de sole naschente.

 

Oniferi 22/11/2019

 

Traduzione

Addio Occhi di fata addio El mimo!

sotto i colori di un buffone

mi ispiri di tristezza una “canzone?”..

io nn ti conosco ma ti stimo.

Mi comandi la mano, quella che temo

e del temerla ho ragione.

mi hai dato L ispirazione

ma sei morta…al cielo impreco.

Bandiera di un Cile sofferente,

contro i tiranni simbolo di festa

figura immortale e onnisciente.

Addio occhi di zaffiro lucente,

occhi di diamante cristallino.

Occhi di luna e sole nascente

Speranza Alessandra

Redazione Psicoanalitica Vicolo Cicala

Fonti:

 

Violenza sugli uomini tra stereotipi e sessualità – Paola Scarola

 

 

 “Messaggi subliminali (ma non troppo) nella pubblicità “

“ È bello avere una donna in giro per casa.”

“Il giorno di natale lei sarà felice con una Hoover.”

“Non preoccuparti tesoro, non hai bruciato la birra!”


“Intendi dire che le donne possono aprirla?”

Queste sono solo alcune delle pubblicità in voga negli anni ’50 e ’60.
Sono chiari, affatto in maniera subliminale, messaggi che oggi tutti considereremmo assurdi.
Messaggi riguardo l’inferiorità e la sottomissione della donna nei confronti dell’uomo, una realtà che speravamo oggi fosse del tutto superata. Basta però dare un’occhiata alle odierne pubblicità, in TV soprattutto, per accorgerci che forse siamo ancora lontani dall’abbandonare questa concezione della donna, chiaramente stereotipata.
Ecco un esempio recentissimo

Il dottore Arcidiacono ci scrive qualcosa a riguardo:
“Mi sono imbattuto in questa pubblicità su facebook, nella pagina “Un altro genere di aspetto”. La pubblicità rappresenta un’avvenente donna in reggiseno accanto a due polli allo spiedo e un piccolo contenitore di plastica pieno di patate. A promuovere la pubblicità sessista è una girorosticceria-braceria, che gioca, con cattivo gusto a mio parere, sul sostantivo patata con allusioni sessuali. Vari sono i commenti di indignazione che sono riuscito a trovare sotto il post facebook. “E’ uno scempio, sul serio” scrive Rosaria, “trovo sia vergognoso questo genere di pubblicità e chi non lo condanna” aggiunge Manuela. Nel quasi 2020 si ha ancora così poca fantasia e bassezza di idee che si deve ricorrere a un cartellone del genere per pubblicizzare un’attività? Ma scherziamo?
Esiste davvero, secondo loro, la necessità di mercificare e ridicolizzare la donna usandola come puro oggetto e strumento, disumanizzandola totalmente, per vendere polli?
Questo tipo di pubblicità sono lo specchio di una società vergognosamente patriarcale e misogina. A mio parere sono messaggi desolanti, equivoci che vanno stigmatizzati e condannati. Non giudico il lavoro di grafici e pubblicitari, ma ricorrere ancora oggi a stereotipi e doppi sensi di questo tipo è davvero desolante. Ci vorrebbe più consapevolezza e responsabilità nelle campagne pubblicitarie. Ormai si cerca l’eccesso per far diventare la campagna virale, ampliarne la portata sui social. È sconcertante e inopportuno utilizzare una simile pubblicità sessista come richiamo per vendere un prodotto. Ci vuole anche la consapevolezza che la donna è una persona e non un prodotto che si può esibire come si vuole. La società attuale, come già argomentato, tende a favorire questi comportamenti utilizzando il più semplice dei meccanismi di difesa, la banalizzazione. I suddetti proprietari del locale hanno risposto alla pubblicità in modo molto sbrigativo e raffazzonato. “e chi lo dice che la nostra è una pubblicità sessista…. Noi abbiamo solo giocato un po’ con le parole….” Hanno commentato, fino ad arrivare al totale diniego dei diretti interessati alla seguente domanda:
-“Ma cosa c’entra una donna col reggiseno in primo piano con le patate e il pollo?” -“Guardi non vogliamo commentare oltre.

Abbiamo qualcosa di simile, dove il riferimento non è più alle patatine da accompagnare al pollo bensì al petto stesso del pollo, qui paragonato al seno femminile.
Forse non dovremmo meravigliarci troppo o fingere shock, di fronte a pubblicità più datate.
Ecco altri recenti esempi:

Questa pubblicità su un dentifricio di colore nero, poiché a base di carbone vegetale, diventa un palese riferimento sessuale riguardo un’ulteriore stereotipo, quello sugli uomini di colore.
Ancora:

Questa dovrebbe invece essere un cartellone che pubblicizza un negozio di ottica che, evidentemente, con un tot. di spesa regalerebbe la montatura degli occhiali.
Non è questa però la prima cosa che si nota; anzi, servono una spiccata capacità intuitiva e una manciata di secondi per arrivarci.
Stereotipo dovrebbe essere una parola neutra. Noi abbiamo delle capacità cognitive limitate, non siamo di certo computer con potenza infinita di memoria o attenzione, quindi gli stereotipi sono fondamentali per capire gli elementi importanti di un tipo umano o di un oggetto, per economizzare le risorse cognitive. Solo che l’economizzazione in tal senso ha costi che riguardano il fatto che pur di stereotipare, pecchiamo in precisione, in numero di particolari, cadendo anche nell’errore.
Un esempio sono dunque gli stereotipi relativi alla figura della donna. Si pensi alle pubblicità di oggi in cui sono presenti le donne: prodotti per la casa (stereotipo della donna che deve unicamente occuparsi della casa), o pannolini (è solo la mamma che si occupa del bambino).
Anche se possiamo avere a che fare con tanti sottotipi di persone, alcune categorie sono sottodimensionate o se vengono esposte lo sono in maniera molto stereotipata, come anche gli anziani, i disabili o i malati mentali (il malato mentale è considerato o aggressivo da isolare o genio).
Il lato preoccupante di questo tipo di pubblicità è che esse giocano su un vero e proprio meccanismo di persuasione.
La strategia tipica della pubblicità è quella non di vendere un prodotto, ma di creare un mondo, uno status: essere un uomo virile se compri quell’automobile, essere una famiglia felice se acquisti quei prodotti, eccetera.
Il prodotto diventa solo il mezzo con cui il protagonista giunge ad un obiettivo.
Caratteristiche del testo pubblicitario:
– funzione principale: è quella conativa, per cui mittente cerca di indurre il destinatario ad adottare un determinato comportamento;
– carattere strategico: ti voglio convincere ma senza che sia troppo plateale;
– struttura narrativa (capacità di raccontare storie): i testi pubblicitari hanno sempre struttura narrativa, contengono cioè sempre una storia, anche se molto condensata;
– ruolo predominante degli stereotipi: le pubblicità devono economizzare al massimo il messaggio, devono renderlo facile e veloce.
Ci sono però degli elementi persuasivi che convincono più facilmente:
– elemento “expertise”: un esperto del campo convince di più (si pensi al dentista che pubblicizza il dentifricio);
– elemento “bellezza”: in tv raramente troviamo persone brutte, la bellezza è considerata essa stessa appetibile e quindi fonte di credibilità;
– elemento della vividezza del messaggio: esso può essere memorizzato in maniera semplice e immediata. E’ anche vero che se qualcosa all’interno della pubblicità è particolarmente vivido e attraente distrae dal contenuto vero e proprio.
La pubblicità è un po’ come se fosse il sogno per Freud, con contenuti manifesti e latenti. Anche il testo pubblicitario ha un contenuto latente diverso da quello manifesto, fatto da stereotipi e messaggi che arrivano senza che ne abbiamo consapevolezza; difatti ci vuole un po’ di allenamento per comprenderli.
Se le pubblicità riguardano il mondo contemporaneo siamo un po’ più ciechi rispetto ai sottintesi implicati in queste pubblicità perché noi viviamo in questo mondo, in questo momento.
La spiegazione al perché troviamo più indignanti pubblicità di decenni fa è che è certamente più facile vedere come il mondo pubblicitario rifletta stereotipi in esse, poiché nel momento attuale vi è una sensibilità diversa, per cui non ci si rende conto di cosa sta accadendo hic et nunc ma si è più portati ad analizzare tempi passati, che non ci riguardano direttamente.
Russo Giorgia
Bitto Miriam
Arcidiacono Salvatore