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L’analisi vista dall’esterno

Sarantis Thanopulos

 

“In treatment”, una serie televisiva che ha come soggetto la seduta psicoanalitica, sta creando reazioni opposte tra gli analisti italiani. Alcuni apprezzano la rappresentazione dello spazio analitico come luogo contenitivo e stabile di un intenso scambio emotivo; altri criticano l’uso di un divano da salotto al posto del lettino (con svolgimento vis-a-vis della terapia) e la mancanza di attenzione ai sogni e all’inconscio che spostano la visuale al “qui e ora” della situazione terapeutica e alla contrattazione diretta tra l’analista e il  paziente. La critica è fondata ma una messa in scena del lavoro analitico che ha esigenze “drammatiche” (chiarezza e coerenza dei caratteri e delle dinamiche emotive, profili psicologici ben delineati, ritmi narrativi ben cadenzati, suspense) non può essere fatta secondo una prospettiva psicoanalitica pura. L’inconscio è un funzionamento mentale che non si dà a vedere neanche nei sogni. Si manifesta in modo indiretto nei luoghi della sua compenetrazione con il pensiero conscio, dove è vivo il conflitto tra la significazione soggettiva del desiderio e  le condizioni oggettive della sua soddisfazione. Il lavoro analitico è una complessa conversione del conflitto in processo di trasformazione che libera potenzialità rimosse di sé tagliate fuori dal rapporto con la vita. Una vera seduta analitica è noiosa per un vasto pubblico di spettatori: i suoi tempi morti, lo scambio emotivo che è intenso per chi ci sta dentro ma non per un osservatore, i suoi silenzi (il sentire senza parlare), il girare a vuoto del discorso (il parlare per non sentire), le approssimazioni e le apparenti incoerenze di una comunicazione che cerca  di trovare la propria strada, non sono uno spettacolo godibile. L’analisi può diventare spettacolo solo se si tiene conto di un punto di vista prossimo alle fantasie e alle aspettative di chi ne potrebbe usufruire. Ciò che va allora in scena è l’immaginario collettivo della cura psichica legato all’emergenza di emozioni difficili da riconoscere e gestire che cercano un luogo sufficientemente accogliente e affettivo per essere dispiegate. I pazienti che arrivano all’analisi la vedono, il più delle volte,  con occhi vicini alla visuale di ‘”In treatment”, secondo aspettative confuse e disorientate le quali ignorano cos’è una seduta analitica (anche quando coesistono con la sua cognizione). Queste aspettative l’analista deve accoglierle nel dispositivo del suo lavoro (che fa dialogare il tempo pressante della realtà oggettiva con l’inattualità dell’esperienza soggettiva) sapendo che se per il paziente che è dentro la seduta il lettino (che sospende il contatto visivo)  è una condizione di emancipazione del proprio vissuto da una percezione del mondo prigioniera dei fatti, per il paziente che guarda da fuori il divano da salotto è più plausibile e familiare.