testatonelavoce

Nel centenario della morte di Giovanni Pascoli

GLI AFFETTI DEL POETA

 

                                                                                 
“… col grido/ d’implume caduto dal nido”

(G. Pascoli, Per sempre, 1903)

La poesia di Giovanni Pascoli mi appassiona da molti anni. Oltre i motivi principalmente letterari che attraversano le pagine del poeta di San Mauro, i suoi versi contengono un microcosmo che presto si dilata al grande mondo degli uomini, ai tre regni della natura, allo smisurato universo, all’invisibile paese delle anime. Per questo, da sempre, la poesia di Pascoli si è resa lo specchio dell’anima di coloro che l’hanno indagata e vi hanno trovato infiniti motivi ispiratori, corrispondenti alla moltitudine dei temi che essa tocca. Il risultato è che il corpus pascoliano, da qualsiasi porta vi si acceda, consente di rintracciare ciò che si va cercando. Sarà, perciò, soddisfatto il cultore dei luoghi letterari, verrà accontentato l’indagatore della mitologia classica, trarrà motivo di analisi l’esperto di psicologia, si sentirà incoraggiato il sociologo attento ai grandi movimenti collettivi, si coinvolgerà nel ritmo dei versi il musicista, avvertirà intimi echi il nostalgico evocatore del tempo passato o l’affezionato ascoltatore delle infinite voci presenti in natura, proverà commozione accorata chi con animo sensibile voglia esplorare un mondo di sentimenti destinati a non esaurirsi neppure con la morte. In definitiva, Giovanni Pascoli, ha mantenuto il tono di una modernità che numerosi poeti del ‘900 hanno saputo riconoscergli e, allo stesso tempo, continua a parlare ai contemporanei coi segni di un linguaggio universale.
Esistono tante pubblicazioni su Giovanni Pascoli, innumerevoli punti di vista, svariate chiavi di lettura. Cercherò, in queste pagine, di dare voce, con semplicità aderente ai testi e sensibilità vicina all’anima dell’autore, ai suoi affetti: una corda continuamente vibrante entro le emozioni del poeta, una spinta dolorosa e dolce per l’uomo che forse si decise a scrivere con lo scopo di rendere palesi e note a tutti le condizioni del suo pensiero, le storie che lo avevano attraversato, i riferimenti di continuo stabiliti tra la vita presente e quella passata, tra l’esistenza quotidiana e la letteratura, il travaglio che, fin dalla nascita, cercava lo spazio dell’ascolto. Se un fine della scrittura pascoliana fu quello di essere accolta, se la sua pena chiese soprattutto di essere udita, l’autore raggiunse lo scopo. Così, in questo anno di celebrazioni centenarie, le iniziative che ricordano il secolo trascorso dalla sua morte si moltiplicano con l’effetto di rendere ancora moderno, ancora attuale il profilo di Pascoli fino a proiettarvi ciò che oggi desideriamo, ciò che di più urgente avvertiamo entro e fuori di noi stessi. La poesia di Giovanni Pascoli appare anche uno strumento per comunicare diffusamente, il tramite scritto e personale di un pensiero collettivo che si fa verso cantabile, musica suadente, eco angosciosa destinata a stemperarsi nei mille rivoli del dolore, dell’affetto, del sentimento; in questo, la sua esperienza di vita si rende più comprensibile, la sua lettura si fa densa di condivisioni. Finché ci sarà poesia, ci sarà una speranza di vita e di futuro, un’apertura alla relazione e alla costruzione di rapporti fra gli uomini. La poesia è una risposta all’angoscia, è un antidoto al male: questa la prima immagine che filtra attraverso le lacrime di Giovannino, e, come la luce si rifrange in un prisma ottico, così quel pianto disperato di “implume caduto dal nido”, risuona trasmutando in gorgheggio, in canto, in armonia.
Apriamo il grande libro della poesia pascoliana. Sappiamo che vi incontreremo affetti profondi, intuiamo che vi troveremo cose ogni volta nuove.

 

Pierluigi Moressa 
Membro associato SPI

Forlì