Come in un sogno.
Breve report dell’incontro con Christopher Bollas al convegno della Società Psicoanalitica Italiana – 23, 25 novembre 2018.
Stavolta c’era nell’aria qualcosa di nuovo, un clima diverso, diretto, non troppo istituzionale (bene!) affatto ingessato ma neanche inconsueto nè dissacrante. Aleggiava piuttosto un’atmosfera genuinamente informale e semplice.
Già al momento dell’iscrizione colpiva felicemente il prezzo accessibile al convegno (200€), poi l’apertura all’esterno, a psicoanalisti e psicoterapeuti di altre Scuole. Interessante anche la scelta dei luoghi, non più grandi sale congressuali all’interno di alberghi confortevoli e, a volte, di lusso, bensì spazi più spartani ma non estranianti. Ma, meraviglia delle meraviglie, gli interventi contenuti, accessibili all’attenzione nonostante la pienezza e la complessità, che hanno dato uno spazio maggiore al dialogo e al dibattito. Infine, ma non per ultimo, un tocco aggraziato, di cura, (che oggi purtroppo non accompagna più le cose), è stata la presentazione di una squadra di studenti che, a titolo gratuito, ha lavorato nell’organizzazione del congresso. I ragazzi, chiamati sul palco, accanto agli analisti sono stati presentati uno per uno col loro nome di battesimo e, a loro volta, si sono presentati, identificandosi, con la semplicità che è propria dell’età. Non credo di sbagliarmi se dico che questo è stato uno dei momenti più significativi del convegno. Aldilà dei contenuti scientifici tutti interessanti, ciò che, finalmente, si è realizzato all’interno di un convegno di Psicoanalisi è stata, a mio avviso, la trasmissione di ciò che è paradigmatico della psicoanalisi stessa : il garbo, il rispetto per l’altro, la buona confidenza, il riconoscimento. Un momento in cui, se posso dire, si è posta in essere la soggettivazione tanto cara a noi analisti, senza tuttavia parlarne.
In questa cornice la presenza di Cristhopher Bollas ci stava proprio a pennello. “Relax…relax…” invitava Bollas quando, per un intoppo tecnico nella traduzione simultanea si è creata un po’ di confusione; e lui stesso trova, seduta stante, la soluzione chiamando con accento anglosassone “ Danniela, Danniela”. Ed ecco arrivare Daniela Molina, interprete di impeccabile professionalità, che lo ha accompagnato per tutto il tempo, prolungato oltre il previsto, per la quantità di domande che l’intervento del prof Bollas ha suscitato.
Suggestivo di Bollas, è già il suo parlare sommesso, dai toni sinceri e pacati, il suo approccio “pacifico”e al contempo sofferto di chi è stato a lungo accanto alla stato schizofrenico.
Nell’affrontare questi egli invita all’ uso del “buon senso”.
L’analista non è un cow boy -dice- e nel gestire talune difficili situazioni non deve trasformarsi in questo, piuttosto lo sosterrà creare un setting interno “fatto” anche da uno staff di persone che, a vario titolo, converseranno e collaboreranno concretamente con l’analista. Un medico di base, lo psichiatra, un autista, una persona cara al paziente, un’assistente sociale. Sembra la riproduzione di una “buona” e funzionale famiglia che abbracci il paziente, ma anche il genitore-analista nel momento del crollo.
L’approccio suggerito da Bollas forse, a tratti, sembra edulcorare la potenza psicopatologica dello stato psicotico. La psicosi intesa come “sogno”o “incubo” (meglio) può indurre qualche perplessità se non fosse per la grande esperienza di Bollas nello studio della psicosi. “‘Esperienza psicotica” è, secondo Bollas, un tipo di sogno, un sogno che avviene durante il giorno, da non confondere col sogno ad occhi aperti.
Non è neanche simile al sogno della notte perché, dice – “la mente sta già crollando mentre cerca di costruire il lavoro onirico”.
La domanda è “Quale è stato l’evento precipitante? “
Che cosa ha causato quell’incubo che chiamiamo psicosi?
A questo proposito Bollas indirizza l’attenzione sulla quantità di materiale inconscio che si muove in noi quando siamo svegli senza che l’individuo se ne renda conto. Perciò diventa estremamente significativo e riveste un’importante valenza prognostica, “vedere” il paziente nel momento del crollo, riuscire a farsi raccontare quando e dove si è sentito male.

Il vero problema dello schizofrenico – dice Bollas – è la perdita del luogo in termini di spazio e di tempo. Nell’approccio col paziente schizofrenico è necessario che dapprima il Sè del paziente sia aiutato a rientrare o a risentire il “suo”spazio e il “suo” tempo e successivamente ripristinare le coordinate mentali per pensare agli affetti.
La schizofrenia inizia molto prima di quando appare. Ci vuole un processo molto lungo affinché la persona arrivi a sentire le “voci” e per evitare la deriva schizofrenica è un vantaggio entrare in contatto col paziente in prossimità del crollo.
Il cosiddetto esordio è il momento in cui il Sè porta alla luce il suo problema. “Non è facile mettere le mani sul l’inconscio – dice Bollas a questo proposito – è necessario aspettare che esso si esprimi da solo”.
Quando il Sè si sente tradito dalla propria mente, la persona non vuole pensare. Nello schizofrenico avviene proprio questo : la mente ha fatto qualcosa che ha distrutto la fiducia che la persona aveva della propria mente.
Diventa allora importante la distinzione fenomenologia tra Sè e Mente.
La mente accudisce il Sè come una sorta di madre interna. La mente umana è come una madre, è a lei che ci affidiamo in un dialogo costante e silenzioso, privato e intimo, è da lei che attendiamo conforto e indicazioni. L’individuo è costantemente in contatto con la propria mente e da lei dipende.
A questo punto è interessante fare un confronto tra il Sè “del giorno” e il Sè “della notte”. Bollas ritiene che sia di giorno che di notte, “partecipiamo” ad un sogno ma ci impressionano di più i sogni della notte perché è là che veniamo interpretati, ogni notte, dal nostro inconscio. Si dice che noi interpretiamo i sogni ma sarebbe più corretto dire che è il sogno che interpreta noi. Sembra tuttavia che non molti vogliono saperlo, nonostante il 47% delle persone passa il tempo a far sogni ad occhi aperti. Forse alla base di questo apparente disinteresse ci possono essere ragioni inconsce che impediscono un approfondimento a vantaggio di una certa superficializzazione difensiva. Tuttavia dobbiamo riconoscere che la coscienza è consapevole del fatto che ci siano pensieri inconsci che la mente non controlla.
Nello schizofrenico il pensiero doloroso che determina uno choc lo porta a disfarsi della mente proiettandone il contenuto, ritenuto troppo potente, negli oggetti. Come direbbe Correale, una ipersensorialità colpisce il soggetto e lo induce a circondarsi di una realtà iper-densa di suggerimenti provenienti dall’inconscio.
La mente esplode – concetto ripreso da Saraó durante il dibattito – e, quando ciò succede, ha bisogno di tanto spazio poiché essa và in diverse direzioni. È allora che l’ambiente attorno al paziente, sia esso la famiglia o i Servizi e, aggiungo, la Società, hanno bisogno di organizzarsi. Franco Basaglia diceva che l’Istituzione siamo noi, tutti noi, anche se in una stanza ci stanno solo due o tre persone ad occuparsi del paziente. Un richiamo alla sensibilità, al senso di responsabilità e alla determinazione della cosiddetta “presa in carico”.
Vorrei concludere questo report, certo non completo, raccontando ciò che mi è successo appena terminato il convegno, poiché sono convinta che ha a che fare con l’incontro con Bollas. Incontro a cui tenevo moltissimo e al quale ero determinata a non rinunciare.
Abito a Messina, vengo pertanto dalla Sicilia. È una cosa che faccio usualmente e volentieri poiché mi piace partecipare alle iniziative della comunità psicoanalitica a cui appartengo, ma viaggio anche per diletto amando molto Roma, città dove peraltro ho studiato, mi sono laureata e successivamente mi sono associata. Quando ho saputo del convegno ho fatto con un certo anticipo il biglietto di andata e ritorno, in treno.
Bene. Succede che, una volta salita sul treno, consegno il mio biglietto di andata al controllore che lo vidima e me lo restituisce.
Poco prima dell’arrivo alla stazione di Roma Termini decido di disfarmi del biglietto poiché, penso, “non mi serve più”.
Ma, al momento di prendere il treno del ritorno, mi accorgo leggendo sul grande display affisso in alto a Termini, che riporta un numero identificativo di treno che non coincide con quello che dovrò prendere per tornare a casa, scritto sul mio biglietto.

Con me stessa faccio finta di niente (!) ma poi giunta al binario comincio a crearmi il problema .
Perché sto salendo su un treno che non porta lo stesso numero scritto sul mio biglietto? Perchè sto prendendo un treno che non è il mio?
Allora leggo meglio il biglietto e mi av- vedo del fatto che ero in possesso del biglietto di andata, piuttosto che di quello di ritorno. Rapidamente ricostruisco nella mia mente cosa può essere successo e mi rendo conto di aver confuso il biglietto di andata con quello del ritorno e di aver viaggiato all’andata col biglietto del ritorno e che persino il controllore non se n’è accorto, “me lo ha fatto fare!”.
Cosa è successo nella mia mente o della mia mente?…quale contenuto inconscio ha preso posto sgomitando tra ciò che viene consapevolmente pensato ?…lascio insatura l’interpretazione anche perché poco può interessare a chi legge dei miei movimenti inconsci, ma non posso non pensare che il mio inconscio sembra essere andato incontro all’appuntamento con Bollas sapendo che il linguaggio dell’inconscio avrebbe avuto la sua traduzione, un suo fiato. Sembrerebbe che già da Messina l’inconscio si sia incoraggiato a mostrare taluni contenuti evidentemente pressanti o in cerca di una rappresentazione “Relax…relax” – dice Bollas ai disordinati manifestanti che “volevano sentire la traduzione”, come avesse parlato a parti della mente che non controlliamo, rassicurandoli che un “traduttore” ci sarebbe stato, niente è perduto! Allo stesso modo può accadere, come è successo prima e durante il mio viaggio che un materiale non pensato “entra” a gamba tesa nella coscienza realizzando quella tal cosa che sembra bizzarra e che potrebbe essere liquidata come una distrazione o, peggio, un’indementimento ma che piuttosto da informazioni sui nostri desideri che altrimenti resterebbero “senza traduzione” .

Donatella Lisciotto

psicologa e psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana