Maria Longo – Università degli Studi di Messina

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Commento alla fotografia “La madre”

Nella fotografia che ho pensato di chiamare “La madre”, viene raffigurato il ventre di una donna in stato di gravidanza, ho scelto di riflettere su questo “luogo” in quanto ritengo che esso per eccellenza parli.
Il ventre materno racconta, infatti, la storia di una vita in atto e di una ancora in fieri* di un legame amoroso che si accende di molteplici aspetti e sfumature e di un incontro nel quale ci si riconosce negli occhi dell’altro. Ma prima che la madre e il suo bambino si possano guardare ed esistere, perché il bambino non esiste senza una madre che lo guardi e lo pensi, ma nemmeno una madre esiste senza il suo bambino, come ci ricorda Winnicott, è necessario che passi del tempo, nove mesi nello specifico, durante i quali la donna deve riuscire a raggiungere l’identità di madre attraverso un “travaglio” che non è solo fisico, ma anche e soprattutto psicologico. Dal concepimento la donna deve infatti affrontare delle crisi, parola che etimologicamente ci riporta al verbo “Armo”, cioè compiere delle scelte; ella, infatti, si trova al centro di conflitti antichi con gli oggetti interni, a rivivere quel percorso di separazione-individuazione dalla figura genitoriale materna. Prendono forma antichi desideri: da un lato il ritorno alla fusione con il materno, la donna si identifica con il feto che porta in grembo sperimentando la necessità di essere accudita lei stessa dalla propria madre; dall’altro si palesa il desiderio di “fare un bambino” e quindi appropriarsi di quell’aspetto femminile che apparteneva solo alla madre, che ha il sentore di quei vissuti edipici legati alla fantasia di appropriarsi di ciò che prima era invidiato e proibito, il bambino rubato alla madre, generato dal pene paterno che ella serbava in sé. Questa doppia identificazione (prima col bambino e poi con la madre), si risolve nell’accettazione del feto come oggetto diverso da sé, come il “Doppelgänger” di cui Freud parlava ne di perturbante), che sì, riporta con sé potenzialmente gli stessi tratti del volto, del carattere, ma che non si configura come un essere persecutorio, bensì come primitivamente veniva pensato, cioè “un baluardo contro la scomparsa dell’Io, una energica smentita del potere della morte”. La donna con questa presa di coscienza, dunque, sceglie di “abbandonare memoria e desiderio”, rinuncia quindi al Sé materno e al Sé infantile, ma contemporaneamente se ne appropria in maniera rielaborata, per creare un rapporto nuovo con il figlio che darà alla luce.
È in questo momento che la donna, presa coscienza della loro separatezza, aiutata anche dalla percezione dei primi movimenti del feto, sperimenta un senso di riempimento e da avvio a quella fase di attività fantasmatica di investimento oggettuale in cui ella darà vita al “bambino immaginario”, il quale non sarà l’immagine di una particolare persona, ma porterà in sé le caratteristiche sperate dalla madre durante l’esplorazione dei suoi desideri e delle sue paure. La donna sembra infatti muoversi tra due gruppi di rappresentazioni, un gruppo che riguarda il bambino desiderato: un bimbo di bell’aspetto, forte, vivace, brillante, socievole, e l’altro gruppo riguarda il bambino temuto: malformato, debole, malato, brutto. Queste fantasie negative vengono vissute come realmente pericolose per il bambino, sembrano incarnare quegli aspetti negativi del Sé (nati dal senso di colpa per aver rubato il bambino alla propria madre) che ella potrà tenere lontano solo appoggiandosi, nella realtà, a delle figure femminili di sostegno dalle quali trarre rassicurazione sulle sue future competenze di madre. La donna, dunque, forte anche dell’appoggio di altre madri, potrà sperimentare la sua nuova identità di madre “sufficientemente buona”, che nel prendersi cura con amore e solerzia del proprio piccolo, potrà fare riferimento all’identificazione con una “buona madre interna”, che scaccerà via dalla culla i fantasmi negativi di tutte quelle fantasie che minacciavano fantasmaticamente la vita del bambino e giungere finalmente all’incontro con questa nuova parte di sé, la cui vita dipenderà dalla sua e con la quale creerà un rapporto intimo destinato a durare a lungo.

 


Il Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala
vi suggerisce il sito Psicoanalisi e sociale

 

Alcuni anni fa abbiamo chiesto allo psicoanalista Adamo Vergine di spiegare ai giovani che cos’è la psicoanalisi. Oggi per ricordarlo nel giorno della sua morte, riportiamo la sua testimonianza e a nome del Centro Psicoanalitico dello Stretto e del Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala di Messina esprimiamo la nostra commossa partecipazione per la sua perdita.

 

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