Elisabetta Nucera – Università degli Studi di Messina15c

ALEX FLUMEN

Una cornice invernale animata da piante sempreverdi contrasta con il letto arido di un torrente in magra. Nel suo scorrere è guidato da rilievi rocciosi che incombono a strapiombo sul terreno sabbioso. In lontananza una piccola vetta sulla cui cima, appena visibile, i ruderi di un antico castello che rimandano in qualche misura al passato florido di questi luoghi. Ai suoi piedi, sempre più vicino al fiume, un borgo immerso nel verde. Il torrente percorre un’ampia valle che dall’entroterra roccioso si dirige verso il mare. Le acque frammentate si insediano nei solchi del letto e si intrecciano creando forme serpeggianti. In questa traiettoria non rettilinea un osservatore attento percepisce la voracità di queste acque non ancora impetuose ma che dall’ampiezza del letto lasciano trasparire la maestosità dei periodi di piena. Nel loro fluire limpide sono in parte trattenute da un fragile argine dietro il quale si svelano i rami di un albero spoglio contrastante con folti ulivi. Il migrare a valle da un entroterra aspro e desolato cela un passato rigoglioso che ha spinto grandi antichi a lasciare un segno nella storia. Il torrente Amendolea, qui inquadrato, nell’antichità rappresentava il confine tra la Repubblica Locrese e quella Reggina. Strabene e Tucidide lo menzionano come Alex Flumen; Plinio il Giovane lo nomina come Kaikinos, precisando che l’ultimo tratto era navigabile. Le gesta di queste acque restano immortalate nella storia di un territorio che seppur ricco e destinato a perire. Queste verità passate vivono attivamente nel cuore di chi ancora osserva e crede nelle proprie radici culturali come fondamento della propria esistenza. Il tutto rimanda ad un tema caro a molti, quello della caducità, la qualità delle cose destinate a cadere, la labilità dell’uomo e di ciò che lo circonda. Ma a tal proposito una mente capace di guardare oltre la materialità lasciando spazio ad un pensiero che viaggia al di là del tempo, molto si riallaccia a queste righe: “Nel corso della nostraesistenza vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano ma questa breve durata aggiunge a tali aspettative un nuovo incanto… Se un fiore fiorisce una sola notte, non perciò la sua fioritura ci appare meno splendida” (Freud, 1915).l\ “nuovo incanto” di questo torrente che nonostante la carenza delle piogge continua a scorrere e mostrare il suo vivo divenire che genera nel passante osservatore intenze emozioni. Emozioni che fluttuano alternando un orizzonte melanconico, quello della caducità, ad un fiorire rigoglioso del passato. Un sostegno giunge dal fiume, il quale attraverso il suo movimento riesce a fortificare la nostra labilità permettendoci di proseguire verso una sensibilità unica. Quest’ultima quando riesce a sgorgare fuori dalla nostra sorgente interna ci permette di investire pienamente incuranti del degrado del tempo. Così come l’acqua riesce a mantenere sempre la sua vitalità di elemento primo e ad alimentarsi anche in assenza di copiose piogge, la soggettività deve renderci “artisti della nostra vita”, cioè capaci di vivere e pensare creativamente, conciliando la dimensione reale con quella fantasiosa permettendoci di essere autentici. “In qualche modo, dentro il sistema, ognuno ha la possibilità di vivere creativamente. Ciò implica avere qualcosa di personale, forse segreto, che è inconfondibilmente suo”. (Wìnnicott,1986).

 


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Alcuni anni fa abbiamo chiesto allo psicoanalista Adamo Vergine di spiegare ai giovani che cos’è la psicoanalisi. Oggi per ricordarlo nel giorno della sua morte, riportiamo la sua testimonianza e a nome del Centro Psicoanalitico dello Stretto e del Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala di Messina esprimiamo la nostra commossa partecipazione per la sua perdita.

 

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