Arkangel

In una cittadina qualsiasi e in un tempo qualunque, Sara vive con la madre in una casa moderna e confortevole di un quartiere tranquillo.
Lei, donna sola e madre single, non ha un compagno, nè Sara un padre. La loro vita sociale è piuttosto ridotta. Vivono come all’unisono mentre sono pochi e poco significativi i contatti esterni. Solo una volta in tutto il film vediamo la donna incontrare al parco un’altra giovane mamma col suo bambino e, dalle poche parole che si scambiano, si evince che “la madre di Sara” non ha molti contatti se non quello con i suoi pazienti, (è una fisioterapista).
Unica figura che si affianca alla coppia è il nonno di Sara, l’anziano padre della donna. Non appare, nè ci sono riferimenti (una fotografia, un ricordo) della madre sicchè la sceneggiatura, sin dall’inizio, introduce il tema dell’assenza e della perdita.
Sembra proprio che la donna non possa contare su nessun altro all’infuori di se stessa.
Apparentemente tranquilla ed equilibrata tuttavia si percepisce già dalle prime battute del film la sua propensione ansiosa nei confronti della figlia.
L’episodio del parco, quando la piccola Sara per rincorrere un gattino si allontana e sparisce dalla vista della madre, scatenerà il panico della donna e la conseguente drammatica decisione di aderire ad un programma sperimentale denominato “Arkangel”.

Introducendo un microchip nel cervello della bambina e attrezzando la madre di un dispositivo simile ad un iPad, la donna è in grado di non perdere mai di vista la sua bambina e di controllarla anche in sua assenza. Il dispositivo viene offerto gratuitamente e vengono descritte le sue caratteristiche senza alcuna criticità piuttosto la semplicità e la naturalezza con cui la ricercatrice spiega alla madre di Sara le varie funzioni del curioso iPad suonano inquietanti per l’assenza di problematicità.
Lo strumento è in grado di seguire il soggetto che si sottopone all’esperimento in ogni suo spostamento e persino, attraverso un optional, oscurare aspetti della realtà che possano turbarlo. Così, un cane che abbaia, due ragazzi che litigano e persino il sangue che fuoriesce da una piccola ferita, agli occhi della piccola Sara appaiono con contorni sfumati restituendole una percezione della cosa edulcorata e irreale. Il controllo perciò agisce anche sull’emotività della persona che si “abitua” a una visione irreale del reale!
Alla donna viene così consegnata un’ “arma” che, come vedremo si ritorcerà drammaticamente contro se stessa.
Se durante l’infanzia il dispositivo permetterà un controllo rassicurante sia per la madre che per la figlia, è durante l’adolescenza prima e la giovinezza di Sara, dopo, che le cose cominciano a non funzionare.
La madre di Sara svilupperà una vera e propria dipendenza da Arkangel attraverso il quale segue ogni momento della vita della figlia, a sua insaputa.
Tuttavia in seguito ad una defaillance della bambina, su suggerimento di uno psicologo, depone in cantina il dispositivo con l’intenzione di non usarlo più. Ci riesce per un certo periodo, e soprattutto quando l’ansia che la figlia possa scomparire non riemerge.
Una sera accade che Sara, ormai quindicenne, tardi a rincasare e non risponda alle chiamate della madre che si fanno sempre più insistenti; finchè la donna, spinta dall’ansia, riesuma il dispositivo seppellito in uno scatolone in cantina, e lo riattiva dopo tanto tempo.
Si collega e vede Sara fare l’amore con un ragazzo, Rayan, di cui si è innamorata.
E’ sconvolta!
Da questo momento continuerà a seguire tutti gli spostamenti della figlia attraverso il dispositivo e assumerà un atteggiamento falso e sospettoso nei confronti della ragazza mentre Arkangel sembra essere il suo pensiero fisso, il suo sostegno dall’ansia della separazione.
La storia va avanti e la donna spierà a lungo la figlia finchè, in seguito ad un episodio in cui Sara assume cocaina da Rayan, decide di incontrare il ragazzo e gli intima violentemente di troncare il rapporto con la ragazza.
Sara soffrirà molto per questa separazione per lei inspiegabile.
La storia assume tinte tragiche quando Sara scoprirà che la madre le ha somministrato, a sua insaputa, la pillola del giorno dopo spezzettandola in una bevanda.
In un crescendo drammatico, Sara collegherà tanti particolari che la porteranno a scoprire l’Ipad accuratamente nascosto dietro i cuscini del letto della madre.
Affronterà la madre colpendola con l’Ipad, con furia irrefrenabile come in preda ad un raptus, finche la donna non sviene.
Quell’arma che la madre ha usato verso di lei, ora, arma la mano di Sara.
Sara, prepara un bagaglio alla rinfusa e va via di casa.
Il film finisce con la stessa scena con cui è iniziato: la madre di Sara, rinviene e allo stremo delle forze si rialza col volto visibilmente deturpato dai colpi ricevuti. Esce per strada in cerca di Sara stringendo a sé Arkangel.
Lo stesso grido di quando da bambina Sara si perse rincorrendo un gattino al parco, echeggia nell’aria :
“Sara, Sara…Sara”
La stessa angoscia, lo stesso sguardo di terrore……mentre Sara la si vede andare per la sua strada.

“Arkangel” è la storia di un legame tra una giovane madre single e la sua bambina.
La trama del film si snoda attraverso il percorso del loro rapporto che dall’infanzia procede verso la giovinezza di Sara.
Sara è il nome che la madre invocherà per tutto il film, con toni diversi, da quello più amorevole, giocoso e premuroso a quello preoccupato, severo, rimproverante e, infine, disperato e pieno d’angoscia. Sara non è solo un nome proprio di persona, sembra piuttosto un grido bisognoso, accentato dalla significatività esclusiva che la figlia ha per la madre.

La storia di Sara, amorevole bambina bionda e bamboleggiante, è soprattutto centrata sulla difficoltà di separazione della madre. Nel film si avverte quanto l’assenza di un compagno e l’assenza della madre sembrano essere piuttosto evocativi e molto presenti e influenti sulla dinamica tra Sara e la madre.
“Manca” qualcosa. E dietro la storia “in scena” c’è n’è un’altra che non appare se non attraverso le reazioni e le scelte della donna, la compulsione del suo atteggiamento di controllo che svela il bisogno di sicurezza e il rimpianto per ciò di cui sembra non aver potuto usufruire: un rapporto oggettuale affidabile.
La mancanza e la perdita dell’”oggetto d’amore” sembra essere il vero protagonista della storia.
Sara appare psicologicamente più organizzata della madre, è in grado di affrontare le spinte pulsionali dell’adolescenza a carico del corpo e della emotività, di vivere la sua sessualità, i primi momenti di intimità tra amiche, di sperimentare, di trasgredire e di saper “rientrare”, in una parola, di soggettivarsi.
Anche la sua furiosa reazione contro la madre è una difesa della sua dignità violata.
Diverso invece accade per la madre di Sara, afflitta da una sintomatologia panica, compensata dall’organizzazione composta e ritirata della sua vita. Casa e lavoro, le assicurano una certa tranquillità, niente scossoni. Pochissima vita sociale, quasi inesistente vita sessuale, e assente alcuna forma relazionale affidabile e continuativa.
Già dalla prima scena del film, distesa sul lettino ostetrico mentre sta partorendo, la donna si lascia andare allo sconforto perchè non riceve immediata rassicurazione sulle condizioni di salute della neonata. E per tutto il film la sua espressione sarà sempre tesa, controllata, affatto spensierata, come fosse impegnata mentalmente a tenere a bada una quota di ansia in agguato.
L’adolescenza di Sara diromperà nella sua vita e la troverà non attrezzata ad accettare l’auspicabile separazione a vantaggio della sana evoluzione della ragazza. Non avendo nessun altro su cui contare, un compagno, una madre, una sorella, un’amica, troverà unico supporto in Arkangel. Dispositivo di ultima generazione il cui uso colluderà con la sua dipendenza e con la conseguente tendenza al controllo dell’altro.
Come in ogni “nevrosi da transfert” che si rispetti, il film mostra come non sia difficile ripetere coattivamente e senza alcuna consapevolezza, l’evento traumatico significativo, proprio quello, fino a danneggiare la propria esistenza. Una profezia che si autodetermina a nostra insaputa. In questo caso, la donna vive nell’angoscia di una perdita già subita in passato, perdita importante, che ha condizionato la possibilità di creare nuovi legami, una perdita verso la quale si dirige inesorabilmente ponendo in essere condotte lesive che la porteranno, appunto ad essere ancora una volta abbandonata e sola.

Donatella Lisciotto